Ieri sono andato alll’Oushiko Jinja, il santuario più grande della città. Ovviamente resta molto piccino rispetto ai tripudi di Kyoto e Tokyo, ma per essere dov’è è già abbastanza. Ero con la mia giappina ovviamente, perché non avevamo fatto ancora la visita di capodanno insieme e voleva andarci. Da parte mia ero interessato a vedere questo il famoso santuario della pietra galleggiante, così chiamato perché ci sarebbe un masso di dimensioni enormi che galleggia sull’acqua (cazzata enorme, è appoggiata sul fondo e si vede benissimo).
Per me la religione è un po’ come un conoscente: ci si saluta titubanti per strada le poche volte che ci si incrocia e tutto va bene finché non mi scassa le palle. A Natale mi son concesso persino il brivido di una messa, perché c’erano tutti i miei amici e non volevo restare fuori al freddo. Poi mi son detto “Magari dopo tanti anni avrò un’impressione diversa.” Esperimento fallito.
Un atteggiamento simile è perfettamente adatto al clima giapponese. Così sono andato al jinja, ho salutato il dio che ha detto tutto bene anche se suo fratello c’ha l’influenza, dato una monetina e mi son preso un omamori (l’ultimo dei tempi della Keio aveva decisamente perso effetto), un assopigliatutto con protezioni per il traffico, fortuna, salute, lavoro e chi più ne ha più ne metta. Sì lo so, noi del Capricorno non siamo superstiziosi, ma ho voluto togliermi uno sfizio e adesso sono invincibile come il Titanic prima della partenza.
Comunque un freddo polare, il santuario è in collina e il vento gelido ci investiva in pieno. Ha anche nevicato. Speriamo che il fratello del dio guarisca presto.
